#25 Mi hanno ucciso dei poliziotti 🚓
Un amore proibito con un poliziotto, un vicolo illuminato, e il momento in cui tutto è andato in frantumi
Ci sono momenti in cui la mente ti trascina in un tempo che non è il tuo, in una vita che non hai vissuto. O almeno, non in questa. Questo è uno di quei momenti.
Ho deciso di raccontarvi un’altra delle possibili vite che ho rivvissuto in una delle mie regressioni.
Per chi si fosse sintonizzato da poco su questi schermi, un piccolo recap. Tempo fa ho scoperto per caso degli articoli che parlavano di ipnosi regressiva alle vite precedenti, una tecnica di rilassamento e meditazione secondo cui sarebbe possibile rivivere i ricordi delle proprie vite passate. E nonostante io fossi praticamente agnostico la cosa mi ha incuriosito così tanto che ho iniziato a leggere di tutto sull’argomento e a guardare video su video online. Così alla fine mi sono sottoposto ad una regressione ipnotica e, colpito dall’esperienza, mi sono iscritto ad un corso per diventare io stesso ipnotista.
Proprio durante quel corso ho provato sulla mia pelle diverse regressioni. Oggi ve ne racconto un’altra.
Anche qui ho un ricordo abbastanza vivido, anche se questa volta è stata piuttosto breve.
Ho ‘rivisto’ i colori, le strade illuminate da luci fioche, l’odore di pioggia sull’asfalto.
Ero lì, ma non ero più io. Ero una donna. Una donna che sorrideva in un vicolo a un uomo che sembrava amarla.
La seduta iniziò come tutte le altre: una voce calma mi guidava, portandomi sempre più in profondità. Mi sentivo sospeso, il tempo perdeva senso, e poi tutto divenne chiaro. Non ero più nella stanza. Mi trovavo in una città americana. Immagino fossero gli anni '50. La prima cosa che notai fu il mio vestito: un abito blu scuro, elegante, di quelli che ondeggiano mentre cammini. Poi il mio riflesso in una vetrina: la mia pelle scura, i capelli acconciati alla perfezione, le labbra rosse. Credo fossi una cantante di un night, o qualcosa di simile. O forse aspiravo solo ad esserlo. Di questo non sono sicuro. Portavo con me un fascino che non riconoscevo, un’audacia che non è mia.
Vorrei focalizzarmi su questo. Mi è come arrivata la sensazione di una confidenza in me stessa che non ho mai provato prima, almeno in questa vita. Non so spiegarvi, ma mi sentivo incredibilmente sicuro, quasi invincibile, come se il mondo intero dovesse fermarsi a guardarmi. Ero consapevole della mia bellezza, della mia presenza, del modo in cui catturavo gli sguardi e dominavo lo spazio intorno a me. Era un’emozione che in qualche modo mi apparteneva, come se fosse nascosta in profondità dentro di me, ma al tempo stesso era totalmente estranea alla mia vita attuale.
È davvero una sensazione stranissima, è come se di colpo provaste una sensazione mai provata prima, e nello stesso tempo in cui provate ad inquadrarla, a delinearla, vi sembra incredibilmente familiare.
Era strano, surreale, ma inebriante. Sentivo una passione bruciante per la vita, una determinazione a farmi notare, a lasciare un segno. Non era solo il modo in cui gli altri mi percepivano; era il modo in cui io percepivo me stessa. Era una forma di libertà e potere che non avevo mai immaginato potesse esistere, figuriamoci appartenermi.
Accanto a me, c’era un uomo. Un poliziotto, con una divisa impeccabile e un’aria sicura. Era molto bello. Mi guardava come se fossi tutto il suo mondo, ma sapevamo entrambi che quel momento era fragile come il vetro. Per un secondo, confesso, mentre osservavo la scena, mi sono chiesto, con gli occhi di oggi, se fosse uno dei tanti. Ma poi è come se mi fosse arrivato un calore alla pancia. No, era lui e solo lui.
Eravamo in un vicolo, che improvvisamente era diventato un luogo tutto nostro. Un rifugio dove non esistevano occhi indiscreti né giudizi. Ricordo il rumore dei passi, il suono lontano di qualche locale e della gente, e mi sembrava quasi di sentire la sua voce. Era una sensazione di libertà, ma anche di pericolo. Ogni risata, ogni tocco era come se fosse un atto di ribellione. Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato, ma non ero in grado di capire davvero cosa.
A quel punto, siccome era una regressione di gruppo, la persona che ci stava guidando ci aveva chiesto di passare ad un momento importante e significativo di quella vita.
Ma stranamente mi trovai nello stesso posto, apparentemente nella stessa situazione.
Avevo lo stesso vestito. Mi ricordo che quando avevo rivisto lo stesso abito e lo stesso vicolo, ho pensato di aver sbagliato qualcosa nella regressione.
Infatti dovete sapere che non sono un bravissimo soggetto da ipnosi. Nonostante la mia grande passione. Anzi forse proprio a causa di questo, fatico ad entrare in trance e ho la testa che mi va talmente a mille, pronta ad analizzare ogni singolo fotogramma per capire se quella specifica immagine o emozione l’ho vista, letta, appuntata, vissuta in questa vita, che spesso mi confondo e distraggo.
Ma non era quello il caso.
Mi sembrava che la sensazione e le emozioni fossero completamente cambiate. Ma era come se non volessi nemmeno crederci. Credo fosse talmente strano per me, che prima di accettare che stavo vedendo proprio quella cosa mi ci è voluto qualche istante. Ero stata trascinata in quello stesso vicolo da alcuni poliziotti. Non so se mi avevano riconosciuto, se fosse tutto pianificato. Tra loro c’era anche lui, il “mio” poliziotto, ma il suo sguardo era diverso. Non c’era amore, solo dovere.
Davvero non lo so. Vedevo solo che, mentre gli altri mi picchiavano a morte, lui stava a guardare, credo a fare il palo.
Non ho memoria del dolore, ma ricordo la violenza. Ogni colpo era un pezzo di me che si spezzava, ogni insulto una ferita più profonda. E soprattutto ricordo quasi come mi mancava il respiro davanti all’incredulità di quello che lui mi stava facendo. Come era possibile? E poi il buio. Solo silenzio.
Tornare indietro è stato davvero forte. Ero ancora io nella stanza del corso, ma portavo con me una sofferenza che non era mia.
O forse lo era. Quella donna ero io, eppure non lo ero. Mi sentivo spezzato, confuso. Avevo vissuto un amore proibito? Avevo subito l’odio senza senso, che mi era costato addirittura la mia vita? Avevo appena fatto un viaggio nei limiti della fiducia, del senso di potere, del tradimento e dell’abbandono.
Ma soprattutto in quel momento avrei avuto voglia di parlare a quella donna. Sapevo che probabilmente era una parte di me, ma la prima spinta era proprio quella di correre ad abbracciarla. Ovunque fosse.
In quel vicolo, avevo sentito spezzarsi il suo senso di fiducia. . Una fiducia che aveva donato senza riserve e che era diventata un’arma contro di lei. Contro di me. E quasi commosso, avrei voluto avere l’opportunità di dirle che non avrebbe dovuto mai perdere il coraggio di donare quella fiducia. Che quello che le avevano fatto, non meritava il suo imbruttimento emotivo. Fidarsi è un atto di potere, ma anche un rischio immenso, è vero. Ma avrei voluto dirle, abbracciandola, proteggendola, che non ha sbagliato a farlo. E che non lo meritava. In quel vicolo, non era solo il dolore fisico a bruciare: era l’assenza dello sguardo di quell’uomo, il silenzio del suo intervento, la sua scelta di voltarsi dall’altra parte. Ho sentito quella ferita profonda: non il colpo, ma la consapevolezza di non essere abbastanza importante da fermare tutto ciò che stava accadendo. E io non volevo stare a guardare. Sentivo l’urgenza di gridarle che non era vero. Che lei era molto più di quello. E che meritava molto più di quello sguardo. Volevo riparare. E non potevo farlo. Mi sentivo impotente.
Se c'è una lezione che ho imparato da tutte queste esperienze, è che il confine tra ciò che siamo e ciò che pensiamo di essere è sottile come la nebbia in un vicolo. A volte, è un sorriso che ci guida; altre, è un pugno che ci sveglia. Ma ogni viaggio, ogni frammento di memoria – che sia reale o il frutto del nostro inconscio – è un invito. Un invito a guardare oltre, a esplorare senza paura quella zona grigia tra il tangibile e l’inspiegabile.
Quello che conta davvero è il significato che diamo a queste esperienze. Fidarsi, amare, rischiare, affrontare il tradimento: sono cicli che si ripetono, in questa vita e forse anche in quelle precedenti.
E forse, proprio come quella donna che sono stato in un’altra vita, anche noi possiamo imparare che il vero coraggio non è evitare di fidarsi, ma continuare a farlo, nonostante tutto.
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Il rispetto per le singole storie di perdita e di dolore non verrà mai meno.
Questo vuole essere uno spazio aperto di scambio, consapevolezza e curiosità.
Il viaggio è un work in progress.
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