#14 Di Caitlin Doughty e della death positive ⚰️
Come la bolla death positive si sta allargando aiutandoci a comprendere che la morte non è un nemico.
Ora che è settembre torniamo a regime con la newsletter.
Oggi vi parlo di death positive, che non a caso fa il verso al movimento sex positive, che negli ultimi anni si sta occupando di sfatare i tabù attorno al sesso.
Qualcuno si è ispirato proprio a quel movimento cercando di fare altrettanto con la morte.
L’intuizione è attribuita a Caitlin Doughty.
Chi è Caitlin Doughty?
Immaginate una giovane donna, con un senso dell’umorismo nero ma sempre elegante, che decide di dedicare la sua vita a sfatare i tabù sulla morte. Caitlin Doughty è un’impresaria di pompe funebri che un bel giorno apre un canale Youtube con un format semplice:
Ask a Mortician, letteralmente Chiedi al becchino.
Ha successo e in poco tempo aumentano le visualizzazioni, pubblica libri, partecipa a prestigiose conferenze.
In questo TED, oltre che raccontare il suo primo giorno di lavoro nell’impresa di pompe funebri, spiega in maniera chiara che il rapporto che oggi abbiamo in Occidente con la morte, è solo uno dei tanti modi che l’umanità ha e ha avuto. E non è di certo l’unico.
Racconta con ironia il suo viaggio in Indonesia durante il quale ha scoperto che lì le persone conservano in casa i corpi dei defunti, anche per molti anni. La sua guida per esempio, da piccolo, aveva vissuto con il corpo mummificato del nonno, per 7 anni.
Doughty non auspica ovviamente che in Occidente si debbano riprendere in casa gli scheletri dei nostri avi per ricucire questo legame spezzato con la morte, ma con ironia sfata alcuni miti che questa rottura ha prodotto, come la credenza che un corpo senza vita sia pericoloso, che possa infettarci. Oppure che, a morte avvenuta, debba essere fatto tutto in fretta e delegato tutto a persone specializzate. Doughty ci spiega che la morte non è un’emergenza e che l’industria che si occupa per noi della morte, è una industria miliardaria che non ha ovviamente interesse nel farci riprendere il controllo sulla morte, anche solo come accadeva in tutte le case solo mezzo secolo fa.
Ed è quello che al contrario prova a fare lei con la sua impresa funebre, la Undertaking, con la quale intende aiutare le persone a prendersi cura dei propri morti, piuttosto che delegare il compito ai professionisti. Se vi dovesse interessare sul New Yorker c’è un bellissimo ed esaustivo ritratto di Doughty.
"L'industria funebre convenzionale ha dato alle persone l'impressione che la morte sia un'emergenza. Ma la morte non è un'emergenza" ha più volte detto Doughty. "La morte è l'opposto di un'emergenza. Se guardi davvero la persona che è morta vedi che tutto quello stress e dolore è sparito. E ora quello stress e dolore può sparire anche da te."
Il Movimento Death Positive
Il movimento Death Positive nasce dunque con l’intento di cambiare il nostro modo di pensare alla morte, facendoci riflettere sul fatto che non sia solo un nemico da temere, ma una parte naturale della vita da accettare e, perché no, con cui familiarizzare.
Ma soprattutto che sia qualcosa di naturale, ancestrale. Un legame che abbiamo sempre avuto e che poi abbiamo spezzato.
Non è qualcosa da imparare da zero, ma da riscoprire.
L’idea è quella di rompere il silenzio e lo stigma che circondano la morte, aprendo dialoghi.
Ovviamente non significa essere felici o “positivi” dopo la morte di qualcuno, ma significa non solo “accettare” la morte, ma ricevere il supporto durante e dopo una morte, compresa la possibilità di poter parlare liberamente del proprio dolore, delle proprie esperienze. E significa anche adoperarsi per contrastare e affrontare condizioni e sistemi che portano a morte “inaccettabili” dovute a violenza, mancanza di accesso alle cure e così via.
Doughty e altri promotori di questo movimento spingono per un ritorno a rituali più semplici, eco-sostenibili, e che permettano un coinvolgimento diretto delle famiglie nel processo di addio ai propri cari. Pensate al funerale non come a una mera formalità, ma come a un rito che può davvero aiutare a dare senso a ciò che sembra inconcepibile.
Le danze macabre
La cultura occidentale, lo sappiamo bene, non è sempre stata così distante dal tema della morte come lo è oggi. In epoche passate, la morte era molto più integrata nella vita quotidiana, e in alcuni casi addirittura celebrata. Ad esempio, verso la fine del Medioevo, prende forma una sorta di omaggio alla morte con le danze macabre. Si tratta di rappresentazioni artistiche, sia musicali, sia iconografiche, che raffiguravano scheletri che conducevano vivi di ogni ceto sociale in una danza verso l’aldilà. Queste opere erano un modo per ricordare a tutti l’inevitabilità della morte, ma anche per riflettere sul valore della vita.
I testi, che accompagnavano alcune rappresentazioni, dipingevano la morte come una vecchia amica con cui danzare.
La storia del movimento della death positive
Caitlin Doughty insieme ad altri membri ha fondato nel 2011 The Order of the Good Death che ha poi dato il via alla death positive in chiave moderna. Ma il percorso, come sempre accade, era partito molto prima.
Sul sito del movimento viene spiegata molto bene la storia che ha portato oggi a questa nuova consapevolezza e riconosce le proprie radici negli anni ‘70 quando iniziò un movimento in UK e USA per istituire hospice che fornissero cure più umane alle persone in fin di vita a causa di malattie terminali. E poi a seguire il movimento per una morte naturale, quello a favore delle cure palliative, il Death Acceptance Movement, che si batteva per migliorare la qualità della vita dei pazienti con malattie terminali. E poi negli anni ‘90 il Green Burial Movement a favore di sepolture più naturali e sostenibili o la crescita, sempre in quegli anni, del numero di persone che sceglievano dei funerali a casa. Nei primi anni 2000 poi tutte queste esperienze convogliarono nella nascita dei Death Cafe, luoghi dove poter parlare apertamente di morte. Il primo aprì a Londra nel 2011. Contemporaneamente abbiamo assistito alla nascita della figura professionale della death doula, una pratica antica, riscoperta da qualche anno, che fornisce un supporto e una guida alle persone morenti e al loro cerchio di familiari.
Ma cosa ci può insegnare il Death Positive Movement?
Sono convinto che non ci sia nulla di più liberatorio che guardare in faccia ciò che più ci spaventa. Ma non è solo questo. E il movimento lo spiega bene, invitandoci a considerare la morte non come una fine, ma come un passaggio naturale, e questa consapevolezza può liberarci da paure paralizzanti e aiutarci a vivere una vita più piena e consapevole.
Questi alcuni punti del “credo” del movimento:
Credo che nascondere la morte e il morire dietro porte chiuse faccia più male che bene alla nostra società.
Credo che la cultura del silenzio intorno alla morte debba essere infranta attraverso la discussione, gli incontri, l'arte, l'innovazione e la ricerca.
Credo che parlare della mia morte inevitabile e confrontarmi con essa non sia macabro, ma dimostri una naturale curiosità per la condizione umana.
Credo che il corpo morto non sia pericoloso e che tutti dovrebbero essere incoraggiati (se lo desiderano) a prendersi cura dei propri defunti.
Credo che le leggi che regolano la morte, il morire e le cure di fine vita dovrebbero garantire che i desideri di una persona siano rispettati, indipendentemente dall'identità sessuale, di genere, razziale o religiosa.
Credo che la mia morte debba essere gestita in modo da non arrecare grande danno all'ambiente.
Credo che la mia famiglia e i miei amici dovrebbero conoscere i miei desideri di fine vita e che dovrei avere i documenti necessari per sostenere tali desideri.
Credo che il mio impegno aperto e onesto riguardo alla morte possa fare la differenza e cambiare la cultura.
Come possiamo fare quindi per far parte anche noi di questo movimento? Le conversazioni oneste sulla morte e il morire sono alla base di una società sana. Parlando della morte in modo aperto possiamo cambiare le credenze culturali che spesso, solo per fare un esempio, ci impediscono di accedere ad una buona fine della vita. Se non possiamo discutere della morte, non possiamo neanche discutere su come migliorare la vita di coloro che ne sono colpiti.
Non si tratta dunque solo di cambiare noi stessi, ma di abbattere barriere e provocare un cambiamento ideologico nel mondo.
E quindi sì, parlare di morte, può essere anche un atto politico, nel più alto significato del termine.
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